ALVAR AALTO E I SUOI ARTIGIANI

Articolo comparso sulla rivista "Ottagono" n.72, marzo 1984, pp.30-37



Pochi sanno che quasi tutti i mobili disegnati da Alvar Aalto sono realizzati con processi artigianali. Pochi, infatti, ne conoscono la vera genesi progettuale e, d'altro canto, la cultura razionalista ci ha abituato a pensare all'oggetto seriale come conseguente di determinate certezze ideologiche, di precise consapevolezze tecnologiche e di nette impostazioni produttive, ove la presenza della macchina si fa garante di una resa qualitativa e quantitativa dello stesso prodotto e del suo progetto.
Molti casi, però, della cosiddetta progettazione industriale eludono tutt'oggi questa formula categorica, ricorrendo - per necessità tecniche o progettuali - a soluzioni artigianali, spesso nascoste o non pubblicizzate perché considerate negative per l'immagine stessa dell'oggetto.
Se la mancanza di una corretta informazione sul rapporto fra progetto e produzione perpetua nell'utente una confusione culturale nelle scelte di consumo, tale incerta delimitazione fra processi industriali e artigianali crea oggi nello stesso progettista non pochi dubbi sulla dinamica del proprio ruolo operativo.
Ma non erano questi i termini del dibattito nel periodo fra le due guerre: le proposte del razionalismo nel campo dell'oggetto attestavano una programmaticità didattica volta a formare nel pubblico un nuovo gusto formale, piuttosto che l'imperativa definizione della priorità della macchina su altri metodi produttivi.
Privilegiando l'aspetto progettuale in ragione di una diversa dinamica estetica, il dibattito funzionalista, solo nel ricorso a materiali in qualche modo inusitati, richiedeva nuove scelte di tecnologia produttiva è curioso però sottolineare come tanti oggetti paradigmatici dell'estetica industriale siano diventati tali per emergenze formali realizzate grazie ad un intervento artigianale: la Barcelona di Mies, in questo senso, ne è una chiara esemplificazione.

Ad esempio l'interesse di Aalto per l'oggetto d'arredo investe una problematica formale e il suo rapporto con il comportamento e le reazioni dell'uomo, prioritaria rispetto alle particolari soluzioni d'esecuzione richieste dal progetto o alle successive scelte di diffusione del prodotto.

L'oggetto aaltiano, quindi, progettato per ambienti specifici, non è interessato ad una serializzazione, nel senso corrente della parola, e prevede una possibilità di standardizzazione legata unicamente alle componenti progettuali. La particolare formazione di Aalto aveva risentito sia di una profonda dimestichezza con la antica tradizione stilistica e struttiva finlandese, sia di un meditato rapporto con il linguaggio dello Jugendstil indagato dalla corrente nazional-romantica finnica soprattutto nei suoi aspetti funzionalisti, sia di un determinante riscontro con il contemporaneo movimento neoclassico svedese, che gli consentirono un contatto con l'avanguardia razionalista privo di qualsiasi in passiva deferenza.
Anzi il sollecitante esempio di Van de Velde che attraverso Finch e Frosterus proprio in Finlandia aveva giocato un ruolo d'eccezionale pregnanza, gli aveva permesso di risolvere le suggestioni formali del razionalismo in una più corretta individuazione del rapporto fra uomo e ambiente, estendendo cioè la ricerca funzionalista dal campo tecnico a quello psicologico, al fine di realizzare forme architettoniche basate su reali valori umani. Guidato da un'analisi riferita costantemente a problemi architettonici precisi, Aalto già all'inizio degli anni Trenta critica quella disattenzione - operata dal razionalismo - verso i bisogni psicologici umani e propone di mediare la risposta funzionale con il ricorso ai suggerimenti della "lunga e ricca tradizione dell'arte d'uso" da lui ritenuta fondamentale per nuove soluzioni progettuali in ragione dell'uomo.
Grazie a tale singolare coscienza della storia come espressione della reazione dell'individuo alle forme architettoniche, e del passato come occasione di contenuti da ricreare in armonia con il pur diverso momento storico egli conferma, quindi, come termini inscindibili della progettazione la struttura e l'arredo. L'idea progettuale non è più guidata perciò, da una formula concettuale o ideologica fissa nella sua esemplarietà ma da un esemplare adeguamento della formula ad una libera articolazione che garantisca ogni volta una precisa funzione. Non si persegue più l'oggetto emblema ma l'oggetto pensato in ragione di un'architettura e di un rapporto dialettico fra l'uomo e l'ambiente.
Tutte le componenti d'arredo di AaIto nascono pertanto per un preciso edificio, per una determinata committenza; mentre, infatti, nelle sue prime realizzazioni architettoniche egli ricorre alle lampade del danese Poul Henningsen e alle sedie Thonet, senza quindi cimentarsi con proposte personali ma utilizzando presenze formali di alta definizione funzionale, negli anni della realizzazione del sanatorio di Paimio (1928-33) affronta il problema di una progettazione globale per venire incontro a quelle esigenze, particolarissime, dell'uomo malato, costretto in posizione supina.
L'analisi sottesa ai modelli d'arredo progettati per Paimio parte da una critica precisa agli esempi razionalisti e da un'analisi dei bisogni umani che lo spinge a indirizzarsi verso forme e materiali appropriati alla sua ricerca di confortevolezza. Il ricorso al legno acquista, in tale accezione, il senso di una materia naturale con una sua tradizione di uso, che ne garantisce la comprensione, e con caratteristiche biologiche rispondenti a quei requisiti ricercati dalla definizione progettuale.Caratteristiche biologiche che Aalto cerca di sottolineare ed esaltare nella stessa realizzazione dell'oggetto, come ci illustrano quegli esperimenti sul legno da lui condotti, fin da questi anni, quali prove volte ad analizzare le possibilità implicite nel materiale e la sua logica intrinseca. Risentiva, in tale ricerca, della lunga amicizia con Yrjö Hirn, influente professore di Estetica, che affermava l'importanza del momento ludico nella creazione estetica.
Infatti, nati senza alcuna finalità pratica come analisi dei problemi formali e degli effetti estetici della composizione di lamine di compensato o di legno massello, sezionate e congiunte nel rispetto delle loro venature, tali esperimenti mediavano un approfondimento delle possibilità espressive del legno, scomposto e ricomposto in forme analoghe a quelle reali, e divenivano solo in alcuni casi premessa di una serie di forme architettoniche di significato pratico.
Proprio a conferma dei contenuti impliciti nella scelta e nell'utilizzazione del legno e del significato delle sue ricerche plastiche, Aalto insieme alla moglie Aino dedicò, in una mostra tenuta a Zurigo nel 1946, una delle sue "sculture" lignee a van de Velde considerato, certo, un «grande pioniere dell'architettura», ma soprattutto il primo ad aver intuito «quale rivoluzione stesse avvenendo nella tecnica della lavorazione del legno». Dedica che non solo voleva sottolineare la corrispondenza dei due maestri nell'intendimento operativo sul materiale, sentito e lavorato come fibra naturale in crescita, ma ritrovava nell'opera del belga i primi impulsi verso forme organiche, nel confidare nei valori di energia e di vitalismo della linea e del materiale.
I numerosi modelli ideati per il sanatorio confermano poi un procedere sperimentale, per tentativi successivi, basati tutti sull'adozione di un sedile-schienale realizzato da un piano unico di compensato curvato. Da un primo esemplare, ove si ricorre ancora al tubolare metallico come struttura portante, la ricerca aaltiana di un organismo omogeneo nella forma e nel materiale, ma elastico e flessibile, procede con esempi diversi che ora impreziosiscono il piano di compensato ritagliandovi un bracciolo, ora si propongono nuove basi lignee in un non sempre felice abbinamento formale -,fino all'ideazione di un tipo di totale coerenza, molto simile graficamente al primo modello osservato, ma dove il tutto legno è assicurato da una struttura portante in lamine di compensato incollate e curvate.
Se la varietà organizzativa permessa da tale base determinerà in seguito una serie di poltrone sostenute da questo nastro ligneo ~curvato fino a divenire bracciolo, la ricerca sulle possibilità struttive e formali della lamina di compensato si conclude in questi anni con la famosa Paimio, una poltrona che vuole sperimentare l'avvicendamento di una struttura portante chiusa in lamina di compensato curvato al piano ligneo continuo, e lo risolve con una curvatura di particolare ridondanza all'orlo superiore ed inferiore di quest'ultimo per garantire una sorta di ammortizzamento dei carichi.
È evidente che senza la messa a punto di un metodo di piegatura di compensato il problema formale e strutturale della sedia aaltiana non si sarebbe risolto, e, per risolverlo, si ricorse a un intervento esclusivamente artigianale (lo stesso che ancor oggi si pratica) incollando fra loro lamine di compensato di spessore simile e pressandole a freddo, intorno a una forma di legno massiccio, grazie all'aiuto di braccia umane.
E' utile ricordare a questo proposito la preziosa e insostituibile collaborazione con il falegname Otto Korhonen che possedeva un laboratorio a Turku e aveva offerto spontaneamente il proprio aiuto al giovane Aalto nel 1929, in occasione dei preparativi per il settecentenario della città. Da allora iniziò la loro cooperazione (proseguita alla morte dell'artigiano dai figli Pekka e Paavo), basata su lunghi colloqui con cui il Maestro sollecitava la sensibilità esecutiva e la capacità di comprensione di Korhonen. Ancor oggi è visibile il vecchio laboratorio dove un angolo serviva come ufficio del falegname: lì si sedevano a discutere e dal dialogo nasceva il progetto, brevemente schizzato da Aalto su qualsiasi cosa avesse per le mani, il retro del proprio pacchetto di sigarette, il margine di un giornale, o addirittura, il muro, come avvenne per l'ideazione dell'anello triangolare in compensato curvato, elemento portante di attaccapanni, di portaombrelli di mensole e di librerie.
Quanto, quindi, la figura dell'artigiano sia stata fondamentale per la definizione dell'invenzione aaltiana è facile capire, e si sostiene anche - pur in modo molto reticente - che abbia avuto a volte un ruolo imprescindibile in certe scelte. Alludo, ad esempio, alla ricerca di piegature del legno massiccio portata avanti negli anni della progettazione della biblioteca di Viipuri (1930- 1935), quando il problema di un'unità fra il piano verticale e quello orizzontale, da risolversi tramite un passaggio continuo nel materiale e nella forma, aveva già trovato una sua risoluzione in campo architettonico nel particolare profilo del soffitto-parete ligneo della sala per conferenze della stessa biblioteca, rispondendo in tal senso alle necessità acustiche dell'ambiente.
Alle molte soluzioni proposte dal Maestro per ottenere nel mobile quel tipo di unità fra la verticale e l'orizzontale, sembra che Korhonen si sia sempre opposto suggerendo - per ragioni tecniche - quel tipo di piegatura, poi adottato, realizzato intervenendo su una delle testate del pezzo di legno massiccio con una serie di tagli paralleli, di diversa profondità e a distanze sfalsate, nel cui vuoto porre fogli di compensato incollati su entrambi i lati.
Con tale operazione, dopo la necessaria piegatura e la essicazione, si perviene a quel passaggio continuo e flessibile richiesto tra l'elemento verticale della gamba e quello orizzontale del piano, che risolve il momento di incastro rigido con una sorta di "ginocchio" assicurante alla flessione un alto grado di robustezza. Da questo si determineranno i successivi tipi di gamba, quello a Y, intorno al 1947, e quello a palmette, verso il 1954, e con essi nasceranno più modelli di sgabelli, di sedie, di tavoli a confermare la convinzione di Aalto che per realizzare oggetti d'arredo sia necessario avere un elemento base (un'unità costante di qualità tecnica e stilistica) tale da concentrare su di esso una produzione in armonica dialettica.
L'incontro con Maire Guflichsen Ahlström, donna di grande fascino e intelligenza, collezionista e mecenate, insieme al marito Harry Gullichsen, di arte contemporanea, nonchè erede di un impero industriale di notevoli dimensioni, risulta fondamentale per Aalto non solo per i numerosi incarichi progettuali che gli pervennero, ma per l'incoraggiamento datogli a diffondere i suoi oggetti d'arredo, la cui validità - riconosciuta nel ristretto campo di applicazione dell'architettura per la quale erano stati pensati - poteva e doveva trovare un riscontro sul mercato nazionale e internazionale.
Nacque così nel 1985, per iniziativa di Maire Gullichsen, l'Artek che, sotto la direzione di Nils Gustav Hahl, divenne qualcosa di più di una società di distribuzione di arredi artistici. Questi, critico d'arte e uomo di cultura, si propose attraverso tale strumento l'applicazione di quegli studi ai collegamenti tecnici, sociali e culturali fra arte e architettura, di cui si era fatto interprete in saggi che lo avevano messo in contatto con Giedion, Mumford e Morton-Shand. Tale indirizzo di pensiero (evidente nello stesso nome scelto per la ditta, nato dall'unione di "arte" e "tecnica" a indicare la ricerca di oggetti ove coesistessero un gusto estetico e una ricerca tecnologica, un significato culturale e un dato funzionale) qualificò le scelte dell'Artek, di impresa programmata col compito non solo di distribuire mobili e oggetti d'uso, ma anche idee; in altre parole "struttura e forma di vita", cioè "un insieme armonico fra l'attività industriale e quella intellettuale". E si rispecchiava, ad esempio, nelle numerose mostre d'arte antica e contemporanea allestite con l'intento di sensibilizzare l'uomo della strada al fatto artistico e di stimolarne il gusto', nell'impegno culturale del cine-club Studio projektio fondato nel 1935-36, dove si proiettavano film ufficialmente proibiti di autori fra loro molto diversi (da Eisentein a Buñuel, a Pudovkin, alla Riefenstahl); nelle mostre internazionali organizzate da Hahl dove, con uno stile molto personale nel metodo espositivo, egli pose sempre in rilievo la viva connessione dell'arte con i fattori sociali contemporanei. Alla morte di Hahl, avvenuta durante la seconda guerra mondiale, la direzione dell'Artek passò, fino al 1949, ad Aino Marsio Aalto e poi a Maija Heikinheimo che, entrambe, mantennero la società nelle direttive volute dal loro predecessore, offrendo a giovani artisti e progettisti la possibilità di far conoscere le proprie opere e i propri oggetti.
Il particolare rapporto che lega l'invenzione aaltiana dell'oggetto d'arredo alla figura di un artigiano interprete ed esecutore, è stato una costante che ha anche inverato sia la pur limitata progettazione di vetri sia la più ampia ideazione di forme illuminanti. Tra il 1936 e il 1937 Aalto disegna la sua prima forma in vetro (quel vaso più comunemente conosciuto con il nome di Savoy perchè compare inizialmente nell'omonimo ristorante di Helsinki arredato in questi anni dal Maestro), per un concorso interscandinavo promosso da Gregor Paulsson.
Se la sua idea formale risente della coeva ricerca architettonica sulla dilatazione della linea in forme sinuose (ricordo i contemporanei tavoli progettati per il ristorante Savoy o l'articolazione della piscina della villa Mairea) piuttosto che di quelle analogie con i profili dei laghi finlandesi tanto care alla critica corrente sul Maestro, si sottende all'interesse di Aalto per il materiale- vetro l'indagine su un artigianato di antica tradizione locale e sulle possibilità di dinamica formale di una materia fluida, esaltante colore e luce.
Lo conferma la testimonianza di Vilijo Leinonen, creatore di stampi presso la vetreria Karhula (per la quale Aalto aveva iniziato nel 1936 una collaborazione esterna), quando ricorda di non aver mai visto il Maestro con disegni, perchè preferiva delineare sotto i suoi occhi le sagome dei propri vetri, tracciando il perimetro di base e, sovrapposto a questo, quello dell'apertura, nonchè dare con il palmo della mano l'indicazione dell'altezza.
D'altro canto la realizzazione di tali forme, inconsuete per le dilatazioni spaziali e per l'originalità delle dimensioni, non fu sempre agevole: Hugo Rask, capo-operaio in quegli anni fra i maestri soffiatori di Karhula, ricorda addirittura di aver utilizzato per una serie di vasi una sorta di forma incompleta creata da un'asse di base dove erano stati conficcati tre bastoni tondi e spessi, inclinati verso l'esterno.
In modo analogo, per un vaso molto grande, dalla forma simile ad un'esplosione di raggi di vetro, un gruppo di operai avrebbe tenuto in mano, in posizione inclinata e centrifuga, stecchi di legno, tra i quali il mastro soffiatore avrebbe lavorato la massa vetrosa.
Se l'interesse di Aalto per il vetro si delimita in un arco temporale definito - tra il 1936 e il 1940 - che, quindi, conferma alla ricerca una sorprendente relazione con la parallela indagine spaziale, negli anni successivi al conflitto mondiale i nuovi progetti di carattere pubblico e comunitario acuiscono nel Maestro uno studio del fattore luminoso nell'architettura da sviluppare in rapporto ai valori spazIali e funzionali dell'edificio e in ragione delle necessità fisiche e psicologiche dell'uomo. In tale ambito la presenza di particolari soluzioni di il]uminazione artificiale espressive delle stesse direttrici luminose diurne, integra il discorso architettonico e lega la propria espressione a quella dei particolari d'arredo. Richiedendo quindi di volta in volta un particolare effetto luminoso.Aalto si affida nuovamente all'esperienza di un artigiano esecutore, da lui formato al proprio gusto: in questo caso, Viljo Hirvonen, il cui nome e il cui operato, a differenza di quelli di Korhonen, sono stati celati dall'etichetta Artek.
Nato a Vilpuri nel 1916, Hirvonen era inizialmente un montatore elettricista per quel laboratorio Taito, creato da Paavo Tynell, a cui si deve l'esecuzione delle prime lampade aaltiane. L'incontro con AaIto fu quasi casuale, durante l'allestimento della sezione finlandese all'Esposizione mondiale di New York (1939) e da tale fortuita occasione nacque una collaborazione che portò Hirvonen ad abbandonare il suo impiego per divenire esecutore di tutti i dettagli in metallo delle architetture del Maestro. Ancora una volta, come già per Korhonen, lunghi colloqui hanno nel tempo costruito una tale intesa da garantire a uno schizzo sommario o a una spiegazione orale, affidata spesso a memorie casuali e a ricordi sensoriali, allusivi dell'effetto luminoso da realizzare, la possibilita di una realizzazione pratica. Tutt'oggi, ad esempio, con l'appellativo di "betulleto" è chiamata familiarmente una lampada caratterizzata dall'iterazione di un elemento cilindrico perché Aalto, per descrivere a Hirvonen l'effetto luminoso ricercato dal lume, si era affidato all'immagine della luce solare fra i tronchi di un bosco di betulle; immagine che l'artigiano riuscì a tradurre con questa proposta di un elemento multiplo in metallo dorato a guisa di filtro.
In un piccolo laboratorio, a Helsinki, solo con pochi operai, Hirvonen ha lavorato fino al 1975 creando tutte le lampade ideate dal Maestro, e, per sua stessa affermazione, non ha mai realizzato una serie dello stesso oggetto superiore ai cinquanta esemplari. La parsimoniosa diffusione delle lampade aaltiane, quindi, trova nella figura dell'artigiano una sua giustificazione avvalorata anche dalle particolari forme di tali oggetti, presenze luminose progettate in ragione di un ambiente e ad esso strettamente relate, con una ben limitata capacità di migrazione in un più anonimo mercato. Al contrario il mobile aaltiano ha avuto una più ampia fortuna se è vero quell'aneddoto citato da Lewis Mumford sulla violenta reazione di Wright alla scelta personale di un suo cliente di alcune sedie dell'architetto finlandese a completare un suo arredamento.
Ma, nello stesso tempo, Aalto, cosciente dei pericoli della serializzazione, tenta, attraverso l'Artek, di controllare la ripetizione dell'oggetto nella consapevolezza del rischio di una diminuzione del suo valore estetico e di un suo consumo troppo veloce e superficiale. Pensava che i suoi oggetti dovessero avere la stessa qualità delle litografie: non troppo numerose, per contenerne gli effetti, nè troppo limitate, per non valorizzarle in un senso a loro estraneo.
La valutazione dello standard come litografia, accessibile a tutti ma limitata nella quantità, pone la ripetibilita del prototipo nell'ambito di quei casi di produzione seriale propri della tecnica artigianale. Non sono solo la presenza dell'artigiano e l'alta percentuale di fase manuale a proporre come tale la serie aaltiana, ma proprio questa intenzione culturale che accetta una controllata ripetizione dell'oggetto, una volta riconosciuta la sua transitività dall'ambiente originario di progettazione.

M Cristina Tonelli Michail

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